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Istruzioni per rendersi infelici

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Messaggio Da Bravo0 Mer 21 Mag 2008, 22:05

Istruzioni per rendersi infelici 2454603387_59974d4c333543

a cura di Dario Gargaro

Il titolo del libro è un paradosso (o forse meglio, un disfemismo in cui si sostituisce a felicità, parola gradevole, un’altra sgradevole, senza dare tuttavia l'impressione di dire qualcosa di negativo), un'affermazione che sembra contraria al senso comune. Ma fidiamoci dell'autore e facciamo di tutto per esercitarci nella strada verso l'infelicità.
Da un essere umano, che cosa ci si può attendere? Lo si colmi di tutti i beni di questo mondo, lo si sprofondi fino alla radice dei capelli nella felicità, e anche oltre, fin sopra la testa, tanto che alla superficie della felicità salgano le bollicine, come sul pelo dell'acqua; gli si dia di che vivere, al punto che non gli rimanga altro da fare che dormire, divorare dolci e pensare alla sopravvivenza dell'umanità; ebbene, in questo stesso istante, proprio lo stesso essere umano vi giocherà un brutto tiro, per pura ingratitudine, solo per insultare. Egli metterà in gioco perfino i dolci e si augurerà la più nociva assurdità, la più dispendiosa sciocchezza, soltanto per aggiungere a questa positiva razionalità un proprio funesto e fanatico elemento. Egli vorrà conservare le sue stravaganti idee, la sua banale stupidità...
Partendo da questa citazione di Dostoevskij, il più grande psicologo della storia secondo Friedrich Nietzsche, contenuta nel libro “Memorie dal sottosuolo”, Watzlawick demolisce l’aspettativa millenaria dell’umanità di raggiungere uno stato di completa beatitudine e serenità; la felicità infatti non è neanche definibile a livello universale, in quanto ogni cultura, ogni visione del mondo la definisce in un modo diverso. In ogni tempo infatti ci sono state opinioni discordanti riguardo l’essenza della felicità, mentre riguardo le varie infelicità della vita c’è stata una maggior confluenza di idee; infatti le disgrazie, le catastrofi, i crimini, le colpe, le follie ed i pericoli sono subito etichettate pressoché ovunque come causa d’infelicità. Eppure è proprio da quest’ultima che prende corpo la scintilla creativa nell’uomo, l’anelito, come testimoniano l’Inferno di Dante ed il Faust I di Goethe. Per cui viene da chiedersi dove saremmo senza l’infelicità? Essa è dolorosamente necessaria all’umanità.

Allo scopo di promuovere dunque l’infelicità in quei soggetti che hanno bisogno di aiuto e consigli in questo campo (dando in questo modo anche una mano allo Stato sociale, che necessita come il pane dell’infelicità e dell’indigenza della popolazione, alimentando in questo modo l’industria farmaceutica e l’intero settore dell’assistenza pubblica), Watzlawick ci fornisce chiare indicazioni su cosa fare per essere infelici e ci dimostra, con esempi concreti e convincenti, che l’uomo fa di tutto per esserlo, ad esempio seguendo delle “auree massime”, come il “Sii fedele a te stesso”, fissate nella mente dal sano buon senso. Nell’incessante corsa verso un’utopica felicità, l’uomo si rende forse conto di raggiungere, al contrario e più facilmente, l’infelicità? Ciò che in un primo momento può sembrare un discorso irrazionale, infondato ed astruso sulla vita si rivela, poi, in tutto il suo realismo, un’analisi psicologica e antropologica sapientemente intrisa di fine umorismo.

L’esposizione ironica e graffiante delle teorie, dei consigli induce un pizzico di tensione nel lettore, che, trasportato un po’ dalla loro ambiguità, ripercorre a ritroso, senza che se ne accorga, il ragionamento, per poter cogliere il vero nesso logico di esempi intelligenti, curiosi, spiritosi e di esercizi che, pur nella loro banalità, ci fanno capire, con pungente simpatia, come il nostro pensiero sia fonte di qualsiasi convincimento, causa di ipocondria e di una continua percezione alterata della realtà, come l’infelicità sia, anche, pretendere la spontaneità e la felicità da se stessi e dagli altri, non apprezzare ciò che la vita ci offre, credere di non essere degni d’amore, innamorarsi di una persona che non potrà mai ricambiare, essere diffidenti, ecc.. A supporto delle teorie è presente l’autorità di citazioni letterarie scelte magistralmente, di luoghi biblici significativi, di riferimenti culturali efficienti, alleggeriti da aneddoti divertenti e aforismi eloquenti.

Ci sono molti modi con cui ognuno di noi può rendersi infelice. Watzlawick ne elenca alcuni, nelle 100 pagine che si leggono con difficoltà se non si entra nell'ottica dell'ironia esplicita "…fate così…così sarete sicuramente infelici!" Il bello è che ciascuno di noi, spontaneamente e stupidamente, adotta uno o più dei comportamenti descritti dall’autore. Ognuno dei quattordici piccoli capitoli riguarda un aspetto di noi che genera infelicità. Eppure a volte ci comportiamo, naturalmente inconsapevolmente, in modo da renderci assolutamente infelici!!! Costruiamo la nostra infelicità in maniera veramente sorprendente. Un solo esempio: dopo la fine di una relazione d’amore:
Resistere alla ragione, alla memoria, ai vostri migliori amici, che con le loro parole vogliono farvi credere che la relazione fosse da tempo malata e che troppo spesso vi siete chiesti in che modo avreste potuto uscire da quell’inferno. Non credete assolutamente che la separazione sia il male minore. Isolatevi, rimanete in casa, nelle immediate vicinanze del telefono, pronti per l’eventuale sopraggiungere dell’evento felice.
Delle riflessioni molto interessanti riguardano i livelli della comunicazione, che nel rapporto con gli altri possono davvero rendere infelici. Si tratta della comunicazione paradossale che rende impossibile una risposta positiva e che genera immancabilmente il conflitto. L’esempio classico è quello della frase “sii spontaneo”… Non posso fare le due cose contemporaneamente, o eseguo l’ordine oppure mi comporto naturalmente. Sembra una considerazione ovvia, ma tante volte nella vita ci troviamo a mettere gli altri di fronte a messaggi di questo genere. Un altro esempio è quello di un regalo che si desidera molto, ma poi se si riceve si è scontenti perché lo si è avuto solo perché lo si era richiesto.

Qualunque cosa avrebbe fatto l’altra persona ci avrebbe reso infelici. Se non lo avesse comprato avrebbe ignorato i nostri desideri, comprandolo viene accusato di “ non essere spontaneo”, di aver fatto una cosa per compiacerci, non perché realmente voleva farlo!

Non sempre è piacevole riconoscere i propri comportamenti nelle pagine di questo libro, perché rendersi conto di costruirsi la propria infelicità non piace a nessuno. È più facile dare la colpa agli altri o al destino.

Il tono ironico però rende la lettura agevole, ti fa guardare la cose con un sorriso e, forse, l’autoironia è il primo passo per uscire dalla tristezza e dall’infelicità. Certo non è facilissimo scardinare certi meccanismi ormai radicati in noi, ma rendersi consapevoli del fatto che esistano è già qualcosa.

Questo libro risulta essere insomma un’indagine sull’esistenza umana, che, dominata da un surrealistico pessimismo e da “rapporti di collusione”, diviene un gioco “a somma zero” se la vittoria di un giocatore avviene solo con la sconfitta dell’avversario e senza alcun danno per il primo. Ma, non sarebbe meglio se fosse “a somma diversa da zero”, in cui tutti vincono o perdono allo stesso modo?

Il finale del libro è un po’ spiazzante, poiché l’autore ci fornisce una ricetta per essere felici: "Così disperatamente semplice la soluzione", dopo la citazione di Dostoevskij: "tutto è buono…Tutto. L'uomo è infelice perché non sa di essere felice. Soltanto per questo… Chi lo comprende sarà subito felice, immediatamente, nello stesso istante…".

Watzlawick Paul
Istruzioni per rendersi infelici
Feltrinelli, 1997
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