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Leggere nel pensiero non e' piu' fantascienza

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Messaggio Da Bravo0 Ven 30 Mag 2008, 22:14

Sta rimbalzando un articolo per la rete pressochè inesatto. Eccolo:


Leggere nel pensiero non e' piu' fantascienza Oj2xcj

Neurologi Usa hanno decifrato il 'codice linguistico' del cervello.
Sono cioe' riusciti ad associare a ciascuna parola che indichi un oggetto concreto (per esempio casa) un preciso schema di attivazione cerebrale. Quando una certa combinazione di aree del cervello si attiva, vuol dire che stiamo pensando a un nome specifico.
Reso noto sulla rivista Science, il risultato potrebbe permettere in futuro di creare dispositivi per leggere nel pensiero basandosi su questo 'dizionario cerebrale'.
Coordinati da Tom Mitchell della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, gli scienziati hanno osservato con la risonanza magnetica diverse combinazioni di attivita' cerebrale di volontari, collegandone ciascuna ad una parola.
Poi utilizzando statisticamente queste associazioni tra attivita' neurale e singola parola, hanno dedotto il 'codice' di migliaia di altre parole. Aver decriptato almeno in parte il codice del cervello servira' in futuro per studiare malattie come l'autismo, disturbi del pensiero come la paranoia, la schizofrenia, la demenza semantica.

Fonte originale: | Routers |


...


Psicocafè fà una bella analisi della notizie e la scompone e ridimensiona ad una forma piu naturale e meno "giornalistica".


Sulla stampa tradizionale, nota per la sua proverbiale accuratezza informativa quando si parla di scienza, un modello computazionale che predice l’attivazione neurale del cervello in risposta a parole concrete diventa: “Leggere nel pensiero non è più fantascienza” . E va beh.
Cerchiamo di capire meglio che cosa hanno fatto questi ricercatori della Carnegie Mellon University per meritarsi un posto sul prestigioso Science di oggi.
Lo studio parte dal presupposto che gli esseri umani sono sostanzialmente due cose: percipienti e agenti, ragion per cui si rappresenterebbero i significati delle cose concrete in aree del cervello associate con il modo con cui percepiscono o manipolano queste stesse cose. Per esempio il significato di mela sarà rappresentato in aree del cervello responsabili del gusto, dell’olfatto e della masticazione. Naturalmente una mela può anche essere ricordata o desiderata e quindi nel cervello si attiveranno aree frontali associate alle funzioni di pianificazione e memoria a lungo termine. In sostanza “una mela è ciò che faccio con essa”.
Che cosa hanno fatto dunque i nostri eroi: hanno analizzato le parole contenute in un corpus text di un trilione di parole (fornito da Google) che ne riflette l’uso tipico in inglese.
Per ogni parola hanno calcolato quanto frequentemente essa co-occorre nel corpus text con ognuno di 25 verbi associati con funzioni senso-motorie (vedere, sentire, ascoltare, gustare, odorare, mangiare, spingere, guidare, salire ecc.)
Questi 25 verbi rappresenterebbero i mattoncini che il cervello usa per rappresentarsi il significato delle parole concrete. Ovverosia un “telefono” non lo “mangi” e non lo “guidi”, ma di certo lo “ascolti” e ci “parli”, quindi i verbi ascoltare e parlare avranno, nel corpus text, una co-occorrenza con la parola telefono di gran lunga maggiore di quella che hanno i verbi mangiare e guidare.


Quindi, come vedete nell’immagine, ciascuna parola risulta specificabile in base a precisi intermediate semantic feature uno dei quali potrebbe essere per esempio la frequenza con cui la parola telefono co-occorre con il verbo parlare.
Il passo successivo è stato sottoporre 9 studenti a una risonanza magnetica mentre si concentravano su 60 nomi-stimolo (cinque parole per ciascuna di 12 categorie semantiche inclusi animali, parti del corpo, vestiti, insetti, veicoli, piante e così via).
I dati di questi scan relativi a 58 nomi-stimolo sono serviti per addestrare il modello computazionale ad associare determinate parole stimolo (specificabili in termini di intermediate semantic feature) e specifici pattern di attivazione neurale.
Infine il modello è stato sfidato a predire con quali configurazioni si sarebbe “acceso” il cervello di ciascuno studente di fronte ai 2 restanti stimoli che non erano stati considerati nella fase di addestramento. Il risultato è stata una previsione con un’ accuratezza del 77%.
Quando invece il modello è stato sfidato a fare le sue previsioni su parole appartenenti a domini semantici mai appresi (ad esempio parole come “aeroplano” e “sedano”, in assenza di addestramento su categorie di veicoli e vegetali) l’accuratezza media è scesa al 70%, rimanendo ancora superiore al caso.
Spero che sia evidente che sapere quali parole sono usate più spesso insieme ad altre non è la stessa cosa che comprenderne il significato, e questo tipo di approccio, basato su co-occorrenze, non può funzionare con altre parti del discorso se non con i nomi concreti. Già la combinazione aggettivo-nome introduce un tale livello di complessità a cui il modello non può dare risposta: se penso al cane-veloce o al cane-affettuoso sto pensando due cose diverse. Stessa cosa con i verbi, parole stimolo come “dare”, “prendere” o “rispondere” occorrono in contesti diversissimi con significati altrettanto differenti, per non parlare di parole e concetti astratti come “amore”, “fede” o “democrazia”.
Per carità, sapere che un soggetto sta pensando a una pera o a uno spazzolino da denti guardandone uno scan cerebrale è una cosa mirabile, ma da questo alla “lettura del pensiero”, ahinoi, c’è una bella differenza.


Ricerca originale | Predicting Human Brain Activity Associated with the Meanings of Nouns


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