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Déjà vu: un mistero psicologico

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Messaggio Da Bravo0 Gio 12 Giu 2008, 13:06

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Mi è capitato di recente che mi chiedessero "che cos'è il déjà vu?" e lì, su due piedi, al tavolino di un bar, non è stato facile dare una risposta.
Perchè il déjà vu ha questo di strano: è un'esperienza molto comune e allo stesso tempo non se ne sa quasi nulla.
Per coloro che non l'hanno mai provato spieghiamo che per "déjà vu" si intende: la sensazione soggettiva che una situazione sia stata già percepita precedentemente, associata alla consapevolezza che non può essere accaduto.
Alla fine del diciannovesimo secolo gli psicologi produssero qualche spiegazione di questo strano e misterioso fenomeno, ma poichè si presentava troppo raro e troppo effimero da catturare in laboratorio e siccome non produceva alcun comportamento esterno misurabile, la psicologia lo archiviò presto in un cassetto con su scritto “interessante, ma inspiegabile”.
Nel corso degli ultimi venti anni, forte dei progressi nel campo delle neuroscienze, qualche ardito studioso ha riaperto il cassetto e ha cercato di tirar fuori una spiegazione convincente che si armonizzasse con le conoscenze acquisite sul funzionamento del cervello.
Il prof. Alan S. Brown, psicologo alla Southern Methodist University ha scritto un libro nel 2003 dal titolo "The Déjà Vu Experience: Essays in Cognitive Psychology" (Psychology Press) in cui fa il punto sulla situazione della ricerca.
In questa review Brown stima che il 60% della popolazione generale abbia avuto almeno una esperienza di déjà vu, in maggiore frequenza sotto stress (Neppe, 1983); la durata tipica di un episodio non supera una manciata di secondi.

Secondo Brown le teorie attuali sul déjà vu possono essere classificate in quattro sottogruppi:
1) Spiegazioni puramente neurologiche: il déjà vu sarebbe il risultato di una breve disfunzione/interruzione del sistema nervoso, simile a quelle causate dall’epilessia.
Questa idea trova supporto nella constatazione che i soggetti epilettici riferiscono spesso episodi di déjà vu proprio prima di un attacco. I ricercatori hanno inoltre scoperto che il déjà vu può essere attivamente indotto stimolando elettricamente certe regioni del cervello.
Nel 2002 il medico austriaco Josef Spatt ha suggerito che il déjà vu possa esser causato da un breve e inappropriato attivarsi della corteccia paraippocampale che è notoriamente associata con la capacità di rilevare la familiarità. In altri termini mentre si sta osservando una scena nel presente si attiverebbe erroneamente questa porzione del cervello che le attribuirebbe "per sbaglio" le caratteristiche che normalmente accompagnano un ricordo consapevole.

2)La teoria del processamento duale. Nel 1990 Pierre Gloor condusse alcuni esperimenti che suggerirono la possibilità che la memoria coinvolgesse due distinti sistemi neurali uno per il recupero del ricordo e un altro per la "sensazione di familiarità". Secondo il neuroscienziato il déjà vu si verificherebbe nei rari momenti in cui il nostro sistema per la familiarità è attivato e quello del recupero mnestico no.

3)La teoria attenzionale suggerisce che il déjà vu sia il frutto di una “doppia percezione”. L'informazione in entrata sarebbe processata pre-attentivamente cioè in maniera non cosciente, subliminale se preferite. A questo punto si verificherebbe una sorta di piccolo black out e immediatamente dopo l’informazione verrebbe riprocessata in maniera attenzionale cioè consapevole.
La sensazione di familiarità sarebbe dovuta semplicemente al fatto che quella porzione di mondo, pur non accorgendomene minimamente, “l’ho già vista” un attimo prima.

4)Le teorie mnestiche. Queste teorie ( che sono le più romantiche se vogliamo) propongono che il déjà vu sia scatenato da qualcosa che abbiamo davvero visto o immaginato prima, sia nella vita cosciente che nella letteratura, in un film o in un sogno. Sostengono che un singolo elemento familiare appartenente a un altro contesto sia sufficiente a scatenare una esperienza di déjà vu. Ad esempio se mi succede a casa del mio nuovo vicino è probabile che quel divano color ocra che ha in salotto sia identico nel colore e nell’aspetto a un divano della casa di campagna di mia nonna, ma io non posso riconoscerlo in questo nuovo contesto.
Si tratterebbe insomma di un errore di memoria: il ripescaggio di un elemento senza che sia accessibile il contesto complessivo. E' un po’ quello che capita quando siamo sicuri di riconoscere una persona e non riusciamo a ricordare assolutamente chi sia e dove l’abbiamo vista prima.

Ma il bello (o il brutto a seconda dei punti di vista) deve ancora venire: esistono persone che soffrono di dejavecu cronico, lo sperimentano continuamente lungo il corso della giornata e sono continuamente persuasi di aver già vissuto mentre vivono!
E’ apparso due giorni fa un articolo (scaricabile pdf) su questo incredibile disturbo mai studiato prima d’ora, pubblicato sulla rivista Neuropsychologia a firma di Chris Moulin e colleghi dell’Institute of Psychological Sciences dell’Università di Leeds.
Il dott. Moulin ha raccontato le amare bizzarrie che sperimentano i suoi pazienti e la necessità di incentivare lo studio di questo fenomeno, vero e proprio rompicapo del cervello.

Moulin CJA, Conway MA, Thompson RG et al. Disordered memory awareness: recollective confabulation in two cases of persistent d´ej`a vecu. Neuropsychologia 2006;
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Messaggio Da Bravo0 Gio 12 Giu 2008, 13:08

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E' stata pubblicata una ricerca del professor Susumu Tonegawa, premio nobel per la medicina nel 1986 e in forze al Picower Institute for Learning and Memory del MIT di Boston, che svelerebbe il mistero: il dejavu sarebbe un errore della memoria episodica, in particolare una temporanea incapacità del giro dentato ippocampale di svolgere il suo compito di riconoscimento di luoghi simili, ma distinti.
Pensiamo per esempio a un aeroporto. Potrebbe capitare di trovare l’ aeroporto di una particolare città stranamente familiare. Questo accade per la somiglianza degli elementi fondamentali di qualsiasi aeroporto nel mondo: gates, poltrone, check-in, free-shop. Il cervello però non è tratto in inganno dalle invarianze, anzi distingue e identifica chiaramente quel particolare aeroporto perché il giro dentato amplifica gli elementi caratteristici, le piccole differenze che lo rendono unico. E' quindi in questa piccola area cerebrale che risiede il meccanismo di identificazione delle micro differenze fra luoghi noti e non.
Per provarlo i ricercatori del MIT hanno utilizzato dei topi geneticamente modificati, a cui è stato disattivato un gene nel giro dentato.
Topi modificati e topi normali sono stati posti in due gabbie simili, ma distinguibili, in una delle quali veniva data loro una leggera scossa alla zampa.
Dopo tre giorni i topi modificati mostravano di aver paura in entrambe le gabbie, benché in una di esse non avessero mai ricevuto scosse.
I topi normali invece imparavano ad associare lo stimolo dolorifero solo alla gabbia in cui ricevevano le scosse elettriche, mentre riconoscevano la seconda gabbia come sicura.
I topi geneticamente modificati avevano acquisito dunque un significativo deficit nella loro abilità di distinguere contesti simili.
Ma che succede a tutti noi quando sperimentiamo un déjà vu? Fino a prova contraria il nostro giro dentato dovrebbe funzionare benissimo.
Per capirlo bisogna "scendere" al livello più basso dei neuroni che compongono il giro dentato.
Secondo Tonegawa un set di neuroni, le cosiddette place cells, “scarica” per produrre una mappa neurale per ogni nuovo luogo in cui ci imbattiamo.
La volta successiva che vediamo quel luogo scaricano esattamente le stesse place cells: in questo modo il cervello sa che il luogo è noto, l’abbiamo già visto, e non dobbiamo rimemorizzarlo un’altra volta.
Ma se capitiamo in uno spazio molto simile ad uno già visto in precedenza, nel nostro cervello scaricherà un nuovo set di place cells, ma largamente sovrapposto al primo.
Quando c’è abbastanza sovrapposizione fra i due set, sperimentiamo il misterioso déjà vu.

Da quel mio vecchio articolo val quindi la pena di sottolineare la parte relativa alle teorie mestiche che, a quanto pare, erano quelle che... "ci avevano preso".
”Queste teorie propongono che il déjà vu sia scatenato da qualcosa che abbiamo davvero visto o immaginato prima, sia nella vita cosciente che nella letteratura, in un film o in un sogno. Sostengono che un singolo elemento familiare appartenente a un altro contesto sia sufficiente a scatenare una esperienza di déjà vu. Ad esempio, se mi succede a casa del mio nuovo vicino, è probabile che quel divano color ocra che ha in salotto sia identico nel colore e nell’aspetto a un divano della casa di campagna di mia nonna, ma io non posso riconoscerlo in questo nuovo contesto".

Fonte | Ufficio Stampa del MIT
Articolo correlato sulle place cells | Apprendimento: Play, Pause, Rewind
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