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La paura degli altri

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Messaggio Da Bravo0 Dom 01 Giu 2008, 19:36

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La paura degli altri
di Carlo Bertoncini

Nel linguaggio comune il termine “ansia” è spesso banalizzato. Emozione provata da tutti gli esseri umani, l’ansia assume connotazioni diverse secondo gli avvenimenti che stiamo vivendo o temiamo. Per alcuni si tratta di uno stimolo potente e benefico, necessario all’attuazione d’azioni, pensieri, idee creative. Per altri invece, o in altri momenti, l’ansia è un freno paralizzante che genera sofferenza soggettiva e ha notevoli ripercussioni nella vita quotidiana. In questo campo, esistono punti di vista contrastanti su dove si debba porre la frontiera fra normale e patologico. Tra le nostre paure, quella nei confronti dei nostri simili è senz’altro la più diffusa. Ci assale quando siamo sottoposti allo sguardo e alla valutazione (ipotetica) di un’altra persona o, peggio ancora, di un gruppo di persone. Assume forme molteplici: la si prova in situazioni sociali banali come parlare in pubblico, camminare tra i tavolini di un caffè affollato, chiamare il cameriere al ristorante per chiedergli di sostituire un piatto, e così via.

Questa paura degli altri, medici e psicologi la chiamano “ansia sociale”. Perché si prova questa paura degli altri? I meccanismi della sua insorgenza sono interessanti sotto molti aspetti. Fattori genetici, processi biologici, modalità educative, pressioni culturali o elementi della storia individuale costituiscono i numerosi fattori che concorrono alla genesi dell’ansia sociale.

Lo sguardo degli altri
Ci sono momenti nei quali anche un semplice sguardo può mettere a disagio. L’imbarazzo di essere osservati trova riscontro nel mondo animale: presso i mammiferi, lo sguardo fisso sull’altro è un modo di ribadire la propria supremazia. L’animale dominante costringe quello dominato ad abbassare lo sguardo, e nel caso il secondo, per leggerezza o per attaccar briga, non lo abbassi, scattano il conflitto e il combattimento, cresce la violenza. In determinati casi, lo sguardo può significare offesa e aggressione, violazione dell’intimità e provocazione. Può anche comunicare un eccesso d’intimità, come si può constatare in un ascensore gremito o su un mezzo di trasporto pubblico nelle ore di punta. In questo caso, le persone evitano di guardarsi: il grado d’intimità fisica imposta è già più che sufficiente, e non è il caso di rincarare la dose. Talvolta non c’è affatto bisogno dello sguardo, basta l’ascolto…

Esiste una vasta gamma di situazioni potenzialmente ansiogene nel campo delle relazioni sociali. Queste situazioni hanno in definitiva qualcosa in comune: espongono allo sguardo e al giudizio dell’altro. Molti ricercatori ritengono che l’ansia sociale sia assimilabile all’ansia da valutazione. Tute le situazioni nelle quali siamo valutati dagli altri possono inquietarci; talvolta sino all’angoscia.

Ma che cosa avviene in noi quando ci troviamo in situazioni che ci mettono a disagio? Le nostre paure, quali che siano, comportano tre tipi di manifestazioni: emotive, comportamentali e cognitive.

Etimologicamente molti termini che si ricollegano a sentimenti d’apprensione evocano sintomi d’ordine fisico: “Angoscia” deriva dal latino angustia, da angustus, “stretto”, per significare la sensazione d’oppressione toracica, di stringimento dello stomaco e della gola che si avverte in questi casi.

“Tremore”, dal latino tremere (tremare). Paura deriva dal latino pavor (spavento che contiene l’idea di un indebolimento fisico, di una siderazione); panico, deriva dal greco panikòs (dal dio Pan, la cui apparizione incuteva terrore, faceva tremare i mortali, e che per spaventare i nemici usava lo stratagemma di fare un gran baccano); “emozione”, infine, deriva dal latino motio (movimento).

Una volta scatenate, queste manifestazioni fisiche, risulta assai difficile frenarle. Anzi, gli sforzi in tal senso possono benissimo aggravare la situazione in base a meccanismi diversi: il fatto di concentrare l’attenzione su questi sintomi li amplifica, il disagio che si avverte aumenta ulteriormente l’ansia sociale, e così via. Il fatto che i nostri stati emotivi possano essere letti come un libro aperto accresce la nostra vulnerabilità. Non c’è dubbio che questo tipo d’imbarazzo si ricolleghi direttamente al timore di veder rilevati i pensieri o, meglio, le emozioni e i sentimenti che si provano. Il soggetto teme allora, in maniera particolare, che la sua emozione sia scoperta proprio nel momento in cui desidererebbe controllarla, oppure quando non è ancora riuscita a chiarirla.

Il timore che queste manifestazioni cadano sotto lo sguardo altrui è una costante degli stati d’ansia sociale. Può diventare un’ossessione sufficiente a scatenare l’ansia, innescando una spirale infernale. Si tratta di quello che i comportamentisti chiamano condizionamento negativo: una determinata circostanza (situazione sociale) viene associata a sensazioni sgradevoli, dette “avversive” (manifestazioni fisiche d’angoscia), e sarà pertanto evitata in futuro.

Le reazioni fisiologiche collegate all’emotività hanno un senso?
Quando si è sottoposti ad una situazione stressante, l’organismo risponde con modalità molto arcaiche per prepararsi ad affrontarla: si verifica la secrezione interna di sostanze chimiche e ormonali quali l’adrenalina e, di conseguenza, il cuore accelera i battiti, il respiro diventa più frequente, i vasi sanguigni si dilatano per irrorare meglio i muscoli che si contraggono. In pratica siamo pronti ad agire fisicamente. Catherine Deneuve ha così definito l’agitazione: “Una cosa che non è legata alla difficoltà, che non si controlla e che ognuno conosce sicuramente; quei gesti troppo nervosi e quel cuore che batte troppo in fretta”.

In contesti di questo tipo si riscontra spesso la comparsa di certi gesti detti “parassiti”: portare la mano al volto (all’orecchio, sulla nuca, davanti alla bocca, sul naso), tormentare oggetti di vario tipo o parti del corpo (il polso, i capelli).

L’imbarazzo ansioso e le reazioni fisiologiche che si registrano in certe situazioni influenzano comportamenti e atteggiamenti in profondità. Il primo gran tipo di manifestazione comportamentale è la difficoltà di comunicare. Altrettanto importanti sono la tendenza ad evitare o fuggire le situazioni paventate e il ricorso a comportamenti relazionali inadeguati e poco efficaci, perché troppo bloccati o troppo aggressivi.

Di fatti, lo stress predispone il nostro corpo alla fuga o al combattimento. Non stupisce dunque che, nelle situazioni in cui insorge ansia sociale, la tendenza spontanea sia quella ad inibirsi o aggredire. L’ansia sociale può avere profonde ripercussioni sulla vita quotidiana delle persone che ne sono vittime. In definitiva, però, il problema è sempre lo stesso: si evita ciò che si teme e più lo si evita e più lo si teme.

Tempesta nella scatola cranica
L’ansia sociale è associata ad un complesso di percezioni specifiche di sé e del mondo circostante. Che cos’è una cognizione? Molto semplicemente un pensiero, un pensiero automatico che s’impone alla coscienza del soggetto, in relazione a quanto sta vivendo. E’, in qualche modo, una sorta di discorso interiore; il modo in cui si parla a se stessi. Le cognizioni corrispondono ad una specie di monologo interiore dell’individuo, donde il termine “autoverbalizzazioni” utilizzato talvolta per designarle. S’installano rapidamente, quasi come un riflesso, in risposta a certe situazioni che rientrano nel novero di quelle paventate dal soggetto.

S’impongono alla coscienza come plausibili, quasi come delle certezze, e non come valutazioni ipotetiche, quali in realtà sono. Involontarie e automatiche, non richiedono uno sforzo di valutazione da parte del soggetto. Più o meno coscienti, talvolta si affollano indistinte nella mente del soggetto, quasi un rumore di fondo del suo pensiero. Sono ricorrenti nel senso che tendono a reinstallarsi puntualmente nella coscienza, anche se i fatti le hanno già smentite. Finiscono quindi per caratterizzare uno stile abituale di pensiero quale reazione a determinate situazioni.

Un giudizio negativo di sé
Diversi lavori confermano che l’ansia sociale è spesso associata alla considerazione negativa di sé e delle proprie prestazioni. La persona che ha questa tendenza rileva in maniera prioritaria ciò che non va, a suo avviso, nel suo modo d’essere o nei suoi comportamenti; in secondo luogo, è incline a conferire a questi elementi negativi un’importanza smisurata; infine, tende a sminuirsi, a svalutarsi i maniera esagerata e immotivata, a tranciare giudizi totalizzanti e definitivi. Una scarsa stima di sé spina la via a diversi disturbi psicologici, tra i quali la depressione occupa il primo posto. E’ poi evidente la correlazione tra ansia sociale e scarsa stima di sé.

Il problema dell’ansioso sociale è che si pone questo genere di domanda in continuazione e tende a rispondere sistematicamente: “Gli altri non possono pensare niente di buono su di me, ne sono sicuro”. Ovviamente, gli elementi negativi vengono rilevati e amplificati (una critica su un dettaglio viene percepita quale giudizio negativo generalizzato).

Il timore delle reazioni ostili è una costante delle cognizioni associate all’ansia sociale, e tende a farci considerare i nostri simili potenzialmente aggressivi. L’ansia sociale è spesso ansia da anticipazione. In psicologia è ben noto il ruolo fondamentale delle cognizioni anticipatorie. Tutto inizia con un’anticipazione ansiosa. L’anticipazione è il fenomeno in base al quale il soggetto si prepara ad affrontare una situazione. Le patologie dell’anticipazione sono alla base di numerosi problemi psicopatologici, e in particolare dei disturbi ansiosi.

L’ansioso vive nel timore pressoché permanente che si verificano eventi sfavorevoli, per non dire disastrosi. L’aspetto paradossale di queste cognizioni anticipatorie è che, per quanto regolarmente smentite, continuano a riprodursi.

Ma l’ansia non si limita alla fase anticipatoria. Una volta in situazione, il modo di pensare del soggetto ansioso è assai specifico. Due caratteristiche risultano predominanti: disorganizzazione delle capacità di riflessione e di analisi; ipervigilanza sull’ambiente circostante. Il minimo problema viene amplificato; il dettaglio più insignificante assume un’importanza smisurata. Un silenzio, un sorriso, bastano ad allarmare.

Il ruolo del discorso interiore nell’ansia sociale, quindi, è fondamentale. Questo cocktail di scarsa stima di sé e di valutazione erronea del giudizio altrui si concretizza in quella che i pazienti adducono perlopiù come spiegazione delle loro difficoltà: la mancanza di fiducia in se stessi.

L’ansia sociale al massimo grado
La fobia sociale è la più appariscente e la più invalidante della varie forme di ansia sociale. Il fobico prova una tale pena all’idea di trovarsi a confronto con l’oggetto delle sue paure che organizza la propria vita in maniera da evitarlo. Intensità della reazione ansiosa e strategie di evitamento distinguono la semplice apprensione dalla fobia vera e propria.

Il fobico ha una paura persistente di una o più situazioni nella quale rischia di essere esposto all’attenta osservazione degli altri e teme di essere umiliato o messo in imbarazzo. Evita pertanto queste situazioni che suscitano in lui una grande ansia anche al solo approssimarsi. A caratterizzare in maniera sostanziale la fobia sociale è l’intensità delle emozioni. All’approssimarsi di una situazione a rischio possono scatenarsi vere e proprie crisi di panico.

Molti fobici sociali danno l’impressione di essere freddi e distanti. La spiegazione sta sia nella tensione ansiosa che avvertono nelle situazioni di scambio, sia nel desiderio di tenere l’interlocutore a distanza per non rivelare la propria vulnerabilità. Per chi soffre di fobia sociale non esistono scambi “tranquilli”. Si può così arrivare a un funzionamento mentale di tipo pseudoparanoide. Secondo alcuni studi, circa il 70% dei soggetti fobici sociali soffrono anche di altri problemi, e in molti casi si tratta di disturbi ansiosi quali l’ansia generalizzata o l’agorafobia, la cui associazione con la fobia sociale è piuttosto logica. Segue l’alcolismo, nel 20-40% dei casi; molti bevitori sono in effetti ansiosi. I potenti effetti ansiolitici dell’alcol spiegano il fenomeno.

E’ infine abbastanza logico che la fobia sociale possa complicarsi in forme di depressione nel 50-70% dei casi. Molte depressioni sono la traduzione di un deficit relazionale assai più che il prodotto di un malessere proveniente dal profondo della persona.
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Messaggio Da Bravo0 Dom 01 Giu 2008, 19:36

Meccanica dello psichismo: cogito, ergo sum
La prima funzione del nostro cervello è ricevere informazioni. Ogni qualvolta ci troviamo in una situazione, per quanto banale possa essere, siamo di fatto assaliti da informazioni innumerevoli raccolte dai nostri occhi, dalle nostre orecchie, dalla nostra pelle e da tutti i nostri organi sensoriali. Tuttavia il nostro cervello non s’accontenta di captare i segnali che riceve: li vaglia. Non abbiamo coscienza di molte informazioni che tuttavia vengono registrate dai nostri sensi.

La selezione delle informazioni operata dal nostro cervello avviene in maniera assai complessa, in quanto dipende dalla nostra personalità, dai nostri valori e dalle nostre esperienze passate. Ma pure dalle nostre preoccupazioni di carattere immediato, dallo stato emozionale del momento. Ma il lavoro del nostro cervello non si ferma qui. Conferisce infatti un senso alle informazioni che ha arbitrariamente selezionato o, meglio, le rende significative per noi.

La psicologia cognitiva ha dimostrato che questi pensieri automatici possono variare enormemente da individuo a individuo e, soprattutto, che alcuni sono strettamente legati all’ansia. La curiosità dei ricercatori s’è acuita quando si sono resi conto che, a differenza di quanto si era a lungo ritenuto, questi pensieri penosi, non sono la conseguenza dell’ansia sociale bensì la causa principale, dalla quale derivano poi tutte le altre manifestazioni. In poche parole: l’ansioso è tale per il semplice fatto che, in determinate situazioni sociali, gli vengono in mente dei pensieri particolari. “Ogni turbamento dipende dalla nostra opinione interiore”.

Assai utilizzato per comprendere le reazioni di stress, il modello della doppia valutazione.. Davanti a una situazione per lui delicata, l’ansioso sociale procede immediatamente, e spesso in maniera più o meno inconsapevole, a una doppia valutazione della minaccia che gli si presenta e delle risorse di cui dispone per affrontarla. Quando cercano di spiegare le difficoltà che incontrano, gli ansiosi sociali invocano la mancanza di fiducia in se stessi; in altre parole tendono a sottovalutare se stessi e a sopravvalutare le difficoltà.

Un secondo tipo di errori consiste nel trarre conclusioni senza poterle provare. Inoltre, gli ansiosi sociali tendono alla spiccata personalizzazione degli avvenimenti ai quali prendono parte. Si attribuiscono responsabilità esagerate in ogni circostanza. La generalizzazione è un’altra modalità di ragionamento che s’incontra spesso in coloro che soffrono di ansia sociale. Le cognizioni che s’affacciano alla loro mente abbondano di “sempre” e di “mai”, di “nessuno” e di “tutti”. Questa assenza di sfumature la si ritrova anche in un altro tipo di errore, dividendola drasticamente in bene e male, buono e cattivo, successo e fallimento.

Poiché il cervello non funziona in maniera perfetta, qualsiasi individuo può rimanere vittima di simili errori cognitivi. Ciascuno di noi seleziona in maniera arbitraria, trae conclusioni azzardate, personalizza, generalizza, esagera o minimizza i fatti, ragiona in maniera dicotomica. Solo che l’ansioso sociale lo fa in maniera assai più sistematica, per cui quello che nella maggior parte delle persone costituisce un meccanismo occasionale diventa nel suo caso il modo di ragionare privilegiato.

Gli psicologi cognitivisti si sono resi conto molto presto che questi pensieri automatici, per quanto importanti possano essere, visto che sono responsabili del nostro imbarazzo come della nostra tranquillità in una determinata situazione sociale, costituiscono soltanto la punta visibile dell’iceberg. Nel profondo del nostro psichismo se ne stanno acquattati credenze e valori che ci siamo costruiti a proposito di noi stessi e degli altri. Questi schemi cognitivi rappresentano lo scheletro della nostra organizzazione psichica in quanto particolarmente rigidi e consolidati. Sono andati costruendosi sulla base delle esperienze e della storia personale. Viene allora da chiedersi come mai queste credenze rimangono immutabili nonostante le smentite che possono ricevere dalla realtà. Come ci ha spiegato Piaget, ogni volta che ci confrontiamo con una situazione che entra in risonanza con le nostre credenze profonde tendiamo all’assimilazione; ossia tendiamo di farla concordare con le nostre credenze. Consideriamo o conferiamo dei significati esclusivamente agli elementi della situazione che vanno in una determinate direzione. Assai più rara, presso la specie umana, è la tendenza contraria, chiamata “accomodamento”, ossia quella che obbliga l’individuo a rivedere le proprie credenze allorché non trovano conferma nella realtà con cui si confronta.

Immagine e coscienza di sé
L’ansia sociale insorge in maniera particolare quando un individuo desidera suscitare un’impressione favorevole e teme di non riuscirvi. In altre parole le difficoltà nascono quando la situazione ha una posta in gioco. Il desiderio di suscitare un’impressione favorevole trae origine dal bisogno di riconoscimento e approvazione da parte degli altri. Alla base dell’ansia sociale c’è il timore di non riscuotere, o anche solo meritare, la stima degli altri. E questo timore è spesso testimonianza di una visione troppo elevata dei criteri da soddisfare per potersi ritenere efficienti o meritevoli.

L’autocoscienza dell’ansioso sociale è acuta, dolorosa, invalidante, e persino imbarazzante. Si possono individuare due grandi tipi di ansia sociale, a seconda che sia polarizzata prevalentemente su se stessi o sugli altri.

Le origini
L’ansia sociale rientra nei disturbi che si definiscono multifattoriali. Si tratta cioè di un disturbo che ha origini biologiche (eventualmente ereditarie), psicodinamiche (legate alla vicenda personale del soggetto), sociologiche (connesse all’ambiente, all’epoca e alla cultura di riferimento). Per svariate ragioni, di cui alcune probabilmente innate, gli ansiosi sociali soffrono di ipertrofia del sistema di difesa: percezione esagerata dei rischi di aggressione; percezione esagerata della nozione di territorio altrui e della minaccia in caso di penetrazione di questo territorio; sensibilità eccessiva ai rapporti di dominio. Gli ansiosi sono d’altra parte affetti da ipertrofia del sistema di sicurezza: difficoltà a identificare e integrare segnali rassicuranti presenti nell’ambiente circostante; difficoltà a sviluppare legami di attaccamento; difficoltà a lasciarsi rassicurare dai rituali di convivenza.

Tra gli otto e i dieci mesi, il bambino presenta normalmente reazioni ansiose se separato dalla madre o in presenza di un adulto estraneo. I segnali di sicurezza sarebbero associati alla presenza della madre; il sistema di allerta, invece, verrebbe attivato dall’irruzione di un possibile predatore, rappresentato dallo sconosciuto.

L’associazione tra bambino inibito e genitore ansioso comporterebbe un’elevata possibilità di disturbi ansiosi in età adulta, anche se non necessariamente attinenti alla sfera dell’ansia sociale.

Bibliografia

Janet, P., Les Nevroses, Flammarion, Paris 1909.
Hartenberg, P., Les Timides et la timidité cit.
Corraze, J., Les communicationes non verbales, PUF, Paris 1980.
Dantzer, R., L’illusion psychosomatique, Odile Jacob, Paris 1989 [trad. it. L’illusione psicosomatica, Mondadori, Milano 1991].
Laborit, H., L’inibition dell’action, Masson, Paris 1981.
Stopa, L., e Clark, D., Cognitive process in social phobia, in “Behaviour Research and Therapy”, XXXI (1993), n. 3.


autore: Carlo Bertoncini
fonte: Vertici Network
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